Informazione e consenso

I requisiti in materia di informazione e di consenso per gli studi rappresentano uno dei modi in cui il sistema normativo agisce per scoraggiare la ricerca, anziché incoraggiarla, ad affrontare le incertezze sui trattamenti. È importante – ed etico – prendere in considerazione gli interessi di tutti coloro che sono attualmente in cura con un trattamento, non solo dei pochi che partecipano agli studi controllati. [2]

Lo standard per il consenso informato al trattamento dovrebbe quindi essere lo stesso per tutte le persone a cui viene offerta la cura, siano esse all’interno o al di fuori del contesto di valutazione formale del trattamento. Per giungere a una decisione che si accordi con i loro valori e le loro preferenze, i pazienti dovrebbero avere tutte le informazioni che desiderano, nel momento in cui le desiderano.

Quando il trattamento viene offerto o prescritto giorno per giorno, è normale che le persone possano avere preferenze ed esigenze specifiche diverse, che potrebbero cambiare nel tempo; inoltre, è risaputo che esiste una variabilità individuale non solo nella quantità o nel tipo di informazioni richieste, ma anche nella capacità di comprenderle nel tempo a disposizione, oltre che nel grado di ansia e di timore. Gli operatori sanitari vengono incoraggiati ad aiutare i pazienti nella scelta del trattamento, in modo da rispondere sensibilmente alle esigenze di ciascun individuo in quel particolare momento.

Nella ricerca, tuttavia, l’informazione dei potenziali partecipanti è curata dalle agenzie di regolamentazione, che spesso insistono affinché tutte le informazioni potenzialmente rilevanti vengano fornite, nel modo più esauriente possibile, al momento in cui le persone sono invitate a partecipare agli studi.

Questo potrebbe turbare, frustrare o spaventare inutilmente chi preferisce ‘lasciare al medico’ queste cose, o suscitare preoccupazioni ingiustificate. [3]

Lo studio clinico sulla caffeina nei neonati prematuri che abbiamo menzionato in precedenza è un ottimo esempio di quanto danno si possa causare insistendo sulla necessità che i candidati agli studi ricevano le maggiori informazioni possibili. Questo studio reclutò oltre duemila neonati prematuri in tutto il mondo, ma durò un anno in più del previsto a causa del lento processo di reclutamento.

Il reclutamento fu particolarmente lento nel Regno Unito, dove diversi centri si ritirarono dallo studio a causa di ritardi normativi nel processo di approvazione. Per di più, il Comitato Etico per la Ricerca insistette affinché i genitori venissero informati che la caffeina poteva causare convulsioni nei bambini, sebbene questa complicanza fosse stata osservata solo dopo un sovradosaggio di dieci volte.

In questo modo, i genitori furono messi di fronte ad informazioni apparentemente allarmanti di cui probabilmente non avevano bisogno e che forse non sarebbero state fornite se la caffeina fosse stata utilizzata come parte del trattamento di routine.

Esistono poche prove che le forme di regolamentazione della ricerca ampiamente promosse facciano più bene che male; [4] anzi, le prove esistenti sono molto preoccupanti. Per esempio, negli studi che valutano gli effetti di cure che devono essere somministrate immediatamente, richiedere che venga rispettato il “rito” del consenso informato scritto può provocare morti evitabili, nonché sottostimare gli effetti dei trattamenti. [5]

Ottenere il consenso è un intervento di sanità pubblica che può fare più male che bene. Come altri interventi effettuati in buona fede, i suoi effetti devono essere valutati rigorosamente. Le conseguenze letali che abbiamo descritto avrebbero potuto essere identificate decenni fa, se i Comitati Etici avessero accettato la responsabilità di fornire prove efficaci che dimostrassero come la sua ‘prescrizione’ fosse più utile che dannosa.

Un approccio flessibile all’informazione dei potenziali partecipanti alla ricerca, che riconosca che la fiducia tra medico e paziente è il fondamento di qualsiasi consulto soddisfacente, è migliore di un approccio rigido e standardizzato.

Tuttavia, per il modo in cui i sistemi normativi intervengono nel campo della ricerca, attualmente i medici non sono liberi di scegliere come spiegare gli studi ai pazienti. Inoltre, hanno spesso difficoltà a parlare delle incertezze insite nella ricerca. Per esempio, i medici che reclutano i pazienti per gli studi clinici spesso si trovano a disagio nel dichiarare “Non so quale sia il trattamento migliore“e spesso i pazienti non vogliono sentirselo dire. Sia i medici sia i pazienti hanno quindi bisogno di una maggiore consapevolezza delle incertezze e di una migliore comprensione del perché sia necessario fare ricerca.