I sistemi normativi per la sperimentazione clinica funzionano correttamente?

Anche se il livello di regolamentazione può essere rassicurante, gli attuali sistemi impongono oneri molto gravosi a chiunque desideri studiare un trattamento che non è stato sottoposto ad una adeguata valutazione, piuttosto che offrirlo ai pazienti nella normale pratica clinica.

In molti paesi, la complessità del sistema – che coinvolge le leggi, le agenzie, i codici di comportamento e così via – è immensa e richiede molto tempo. I ricercatori possono aver bisogno di ottenere molteplici approvazioni da diverse parti, talvolta dovendo soddisfare requisiti contraddittori.

Inoltre, complessivamente, il sistema può scoraggiare e ritardare notevolmente la raccolta di informazioni che potrebbero rendere l’assistenza sanitaria più sicura per tutti. Ad esempio, le leggi per la protezione dei dati e i codici di condotta sulla riservatezza, anche se introdotti con le migliori intenzioni, hanno reso estremamente difficile per i ricercatori raccogliere i dati di routine dalle cartelle cliniche, che potrebbero contribuire ad individuare gli effetti collaterali delle cure.

Inoltre, per i ricercatori che progettano gli studi clinici, il passaggio dall’idea dello studio all’arruolamento del primo paziente può richiedere diversi anni e perfino quest’ultimo passaggio può essere rallentato da esigenze normative.

E mentre i ricercatori tentano di ottenere l’approvazione per gli studi attraverso il sistema, la popolazione soffre inutilmente e si perdono molte vite.

In pratica, ciò significa che i medici possono fornire ai pazienti delle cure di non provata efficacia, finché questi acconsentono, se le terapie sono somministrate nel contesto della propria attività di “routine”; al contrario, condurre uno studio su quegli stessi trattamenti per valutarli correttamente implicherebbe addentrarsi in questo lungo processo di regolamentazione.

I medici, così, non vengono incentivati ad una corretta valutazione dei trattamenti, continuando invece a prescrivere cure senza sforzarsi di chiarire le incertezze che le riguardano. Il sistema normativo che regola la ricerca, nel preoccuparsi dei rischi e nel voler tutelare i potenziali partecipanti agli studi, è diventato iperprotettivo, trascurando il fatto che pazienti e cittadini sono sempre più coinvolti come partner nel processo di ricerca.

Tuttavia, vi è una nota incoraggiante. Gli organi regolatori stanno iniziando a riconoscere che questo approccio “indifferenziato” al controllo dell’etica della ricerca è forse inutilmente gravoso. [1] Nel Regno Unito, ad esempio, si stanno valutando delle procedure di ‘revisione proporzionale’, per capire se sia possibile utilizzare in modo sicuro un processo di controllo semplificato e più rapido per gli studi di ricerca che non sollevino questioni etiche concrete.